Reflexiones 2.0 (Enterprise y Personales) de Marco Cimino

un momento de pausa entre la presión de cada día….

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Web 2.0, una moda o un’opportunità per le aziende? (Quarta parte)

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[tweetmeme source=”mcimino” only_single=false]   (continua dalla terza parte)

Negli articoli precedenti abbiamo analizzato che cosa sono i social media, quali sono i meccanismi che li regolano e come preparare un Social Media Plan, definendo innanzitutto i nostri obbiettivi, analizzando il nostro target e finalmente costruendo la nostra identità digitale.

In questa quarta ed ultima parte siamo arrivati al momento dell’azione:

Dovremmo scegliere i canali a utilizzare e disegnare le azioni specifiche per ogni canale. La scelta dipenderà da una serie di fattori come:

–          La presenza del nostro target sul canale selezionato. (evidentemente non ha molto senso disegnare una landing page su facebook sapendo a priori che il nostro target non usa prioritariamente facebook)

–          Il profilo socio tecnografico del nostro “consumatore”, e per cui la maniera di interagire e di relazionarsi con gli altri. In questo caso sarà importante sapere se il nostro target, ad esempio, è un gran consumatore di contenuti (e quindi la nostra attività si dovrà centrare principalmente in generare contenuti di valore utilizzando per esempio un blog corporativo), oppure se il profilo risponde più al generatore di contenuti (e quindi la nostra attività si dovrà centrare sulla generazione di conversazioni attorno ai contenuti generati da altri, come per esempio i commenti ad altri blog).

–          Gli obiettivi che ci siamo prefissati (incrementare le vendite, migliorare il supporto al cliente, migliorare l’immagine del marchio), che possono influire in modo decisivo sulla tipologia di rete sociale a utilizzare.

Definiremo pertanto l’uso dei vari canali, lo scopo o l’obiettivo principale e il calendario o periodicità che vogliamo utilizzare per ognuno di essi. Potremmo quindi disegnare un blog aziendale per generare contenuti di valore per i nostri consumatori e “innescare” il dialogo, “ascoltare” la “blogosfera” e commentare gli articoli pubblicati in altri blog per mantenere il livello di conversazione nella rete. Disegnare ed utilizzare un canale in youtube e in slideshare per pubblicare materiale relativo ai nostri prodotti (ad esempio), e creare un canale in twitter per dare supporto ai nostri clienti, dinamizzare il dialogo e mantenere una rapporto molto più diretto con il nostro pubblico.

In questa fase potremmo preferire sviluppare le nostre piattaforme sociali, nel caso in cui non sia possibile l’utilizzo di reti pubbliche già esistenti. Questo tipicamente sarà il caso di modelli B2B, o quando il nostro target è composto di professionisti (per esempio del mondo della salute) e i contenuti a trattare non sono direttamente divulgabili su internet (come ad esempio informazione relativa a prodotti farmaceutici).

In ogni caso, la definizione della nostra identità digitale ci servirà per stabilire in ogni momento “la forma” che useremo per partecipare nelle conversazioni sui Social Media e ci aiuterà a garantire la coerenza nei diversi canali e nelle diverse azioni che abbiamo disegnato.

Si, ho detto conversazioni. Si tratta infatti a questo punto di generare e partecipare alle “conversazioni” sui Social Media, seguendo delle regole basiche di “buonsenso”:

Attitudine

  • Ascoltare prima, parlare poi.
  • Conversare con il mercato alla pari (allo stesso livello).
  • Apportare in ogni momento valore e divertimento alla conversazione.
  • Qualificare e identificare i nostri interlocutori.
  • Stabilire legami a medio- lungo termine, mai pensare nel beneficio immediato (non focalizzarsi sulla vendita ma sullo stabilire un rapporto di fiducia)
  • Essere trasparenti, onesti, credibili, mai evasivi.
  • Identificarsi sempre con il nome ed il ruolo. Mantenere una conversazione da persona a persona.
  • Essere coerenti in tutti i canali, mantenere una identità comune
  • Fare domande, dare risposte, alimentare il dialogo.

Esperienza, convertirci in esperti del nostro settore

  • Generare contenuti di valore degli argomenti di cui siamo esperti (come marchio), e offrire  informazione specifica e di dettaglio alle persone che la richiedono
  • Fornire links a risorse utili, materiale in rete, non solo generato da noi ma anche da altri, indipendentemente che siano nostri competitori.
  • Quando il nostro cliente si fiderà di noi, si fiderà del nostro prodotto.

Reputazione

  • Essere preparati ai commenti negativi, sapere gestirli correttamente.
  • Assumere gli errori, ringraziare le persone che ci permettono migliorare e cercare di trovare una soluzione per rimediare.
  • Utilizzare le critiche per migliorare i nostri prodotti / servizi.
  • Rispondere educatamente.
  • Convertire i “critici” in veri e propri “fans” del marchio.
  • Costruire la reputazione del marchio con i fatti e non le parole.

Arrivati a questo punto, ci rimane la parte che solitamente dimentichiamo: il controllo. Tutto lo sforzo che abbiamo fatto fino ad ora genera un feedback che dovremmo essere in grado di analizzare ed interpretare per sapere se stiamo lavorando correttamente e stiamo raggiungendo gli obbiettivi stabiliti.

Si tratta in definitiva di stabilire un circuito di miglioramento continuo basato nei risultati delle nostre azioni nei Social Media.

L’analisi si potrà realizzare in funzione del tipo di rete utilizzata, definendo indicatori di controllo tanto quantitativi come qualitativi, oppure creando degli indicatori specifici in funzione degli obbiettivi che ci siamo prefissato.

Nel primo caso (prendendo come esempio un blog corporativo), potremmo definire come indicatori quantitativi il numero di visitatori unici, il numero di pagine viste ed il numero di suscribers via RSS; e come indicatori qualitativi la media dei commenti per post, la quantità di “conversazioni” generate partendo dai commenti ed il matching tra il nostro target ed il profilo dell’utente che visita il nostro blog.

Se parlassimo di un canale twitter, gli indicatori quantitativi sarebbero il numero di followers, il numero di risposte che si generano in media o il numero di “retwitts” che generano in media i nostri messaggi; e dal punto qualitativo il profilo del nostro follower (livello di coincidenza con il nostro target).

Ogni tipo di rete dovrà essere analizzato in base a parametri specifici. Se parliamo di una pagina web, sarà importante la media di pagine viste per ogni visita. Se parliamo di un blog, forse sarà più interessante il tempo medio di permanenza in una pagina rispetto alla media di pagine viste.

Se invece vogliamo analizzare i risultati dal punto di vista del beneficio che ci generano, dovremo definire altri tipi di indicatori. Ci interesserà sapere, ad esempio, quanti suggerimenti o critiche che abbiamo ricevuto via reti sociali sono risultati utili per migliorare il nostro prodotto o servizio, oppure come il dialogo nelle reti sia capace di ridurre il numero di commenti negativi dei nostri clienti.

In ogni caso dovremmo analizzare ed interpretare con una certa periodicità tutte le informazioni che riceviamo come feedback delle nostre azioni per sapere esattamente dove ci troviamo e se stiamo andando nella direzione giusta (quella definita dai nostri obbiettivi)

Conclusioni

Siamo arrivati alla fine di questo “monografico” dedicato alle reti sociali, spero vi sia piaciuto e vi esorto a commentare in questo blog le vostre impressioni, le vostre opinioni e le vostre esperienze personali.

Per concludere vorrei uscire un po’ dalla scaletta prevista e concludere con due cose.

Un piccolo “decalogo” delle cose a tenere in mente nello sviluppo di un social media plan, di là della disciplina, le tesi e l’esperienza.

  1. Ascoltare, ascoltare ed infine ascoltare; i clienti hanno la chiave del nostro successo, è sufficiente saper ascoltare
  2. L’immagine della nostra azienda non è quello che noi scriviamo sulle nostre brochure, sui cataloghi e sulla pubblicità. Ormai l’immagine della nostra azienda è quello che i nostri consumatori pensano e dicono di noi. Partecipare è una scelta, ascoltare è obbligatorio.
  3. I social media sono un fenomeno sociale che va molto più in la di una strategia di comunicazione o di marketing. Le reti sociali cambiano profondamente il nostro modello di relazione con il mercato e quindi dobbiamo essere preparati. Se non siete preparati a perdere il controllo, non siete preparati ad entrare nel mondo dei social media.
  4. Trattandosi di un fenomeno sociale, probabilmente il miglior punto di partenza per cominciare una strategia di social media probabilmente sia la nostra azienda da dentro. Se siamo capaci di diffondere la filosofia 2.0 tra le nostre persone, loro saranno la garanzia del nostro successo, applicando gli stessi principi nel rapporto con il cliente.
  5. Pensare nel rapporto con il cliente come un’esperienza globale. Dalla promessa che facciamo quando trasmettiamo i valori e l’immagine del nostro marchio, all’esperienza che la persona vive con il nostro prodotto o servizio, al modo in cui ci rivolgiamo al cliente, al dialogo, al supporto post-vendita, ai reclami. Se dimentichiamo per un momento la vendita e ci concentriamo sull’esperienza del nostro cliente, il successo sarà assicurato.
  6. Nessuno è infallibile, nemmeno noi.
  7. Umiltà, umiltà ed umiltà.
  8. Se nessuno è infallibile e vogliamo essere umili, davanti ad un errore non ci resta che assumerlo, cercando di trovare la migliore soluzione per rimediare, ed approfittando del errore per migliorare.
  9. Se qualcuno parla male di noi probabilmente è perche gli interessiamo. Il peggior scenario per noi è l’indifferenza. In tutti gli altri casi abbiamo l’opportunità di convertire un cliente in un fan del nostro marchio.
  10. Cliente? Chi ha parlato di clienti??? Persone, persone, persone, persone… il mondo è fatto di persone e non di clienti.

Il secondo punto è un elenco di letture, risorse, blog, autori sui quali mi sono basato per la realizzazione di questo monografico. A tutti un rigraziamento per il lavoro che stanno svolgendo e per la loro vocazione a condividere con gli altri le loro idee.

Letture obbligate:

Manifesto Cluetrain, trutta la filosofía 2.0 http://www.cluetrain.com/

Il Mondo Groundsweel, la filosofía 2.0 10 anni dopo, esempi, metriche.. realmente interessante e pratico , cosí come la continuazione del libro, Empowered http://www.forrester.com/empowered

Iníciate en el marketing 2.0, (solo disponibile in spagnolo) di Enrique Burgos y Marc Cortes. Un libro “locale” molto pratico e destinato a dare una prima infarinatura sui concetti e gli strumenti di marketing 2.0 http://www.bibloworld.com/epages/61560601.sf/?ObjectPath=/Shops/61560601/Products/Marketing-2.0

Tribes, di Seth Godin. Una tribù ha bisogno di un’idea e di uno strumento di comunicazione per diffonderla. http://sethgodin.com/sg/books.asp

Ringraziamenti:

Marc Cortés, sa quello che dice (che oggigiorno è già molto) ed ha una vocazione per condividere il suo sapere con gli altri. http://www.interactividad.org/

Jaime Valverde e Borja Muñoz, pura passione. http://marketingtakeaway.com/

Mau Santambrosio, buonsenso da vendere. http://www.marketingdelretail.com/

Enrique Burgos, fidelizzare, fidelizzare, fidelizzare. http://www.enriqueburgos.com/

Tristán Elósegui, l’inquietudine di scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. http://tristanelosegui.com/

Titonet (Fernando de la Rosa), il lato oscuro della pubblicità e della comunicazione. http://www.titonet.com/

Albert Garcia Pujadas (Qtorb), un ‘osservatore della società digitale. http://www.qtorb.com/

Miguel del Fresno, la “reputazione” convertita in uomo. http://quor-wom.blogspot.com/

Armando Liussi de Paoli (mando mando), capire la comunicazione. http://mandomando.com/

A tutti loro, ed agli altri che non ho menzionato per evitare una lista interminabile,  il mio ringraziamento, per la qualità ed il valore apportato alla rete e per condividere ogni giorno le loro idee e le loro inquietudini.

Web 2.0, una moda o un’opportunità per le aziende? (terza parte)

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[tweetmeme source=”mcimino” only_single=false]  (continua dalla seconda parte)

Dopo aver visto nei post precedenti di cosa tratta il web 2.0 e quali sono i meccanismi che regolano le principali reti sociali, arriva il momento di definire un piano di azione: abbiamo finalmente deciso di aprire la nostra azienda al mondo dei Social Media ed abbiamo bisogno di una strategia di avvicinamento.

Cominciamo dall’inizio:

1) definiamo gli obiettivi.

È assolutamente necessario sapere in partenza quali sono i nostri obiettivi; per molte ragioni. Senza obiettivi non sapremo mai se abbiamo raggiunto il nostro scopo 🙂 e quindi non potremmo mai giustificare alla direzione aziendale se il nostro lavoro è servito a qualcosa e se l’investimento fatto ha dato i risultati che ci aspettavamo. (tutti vorremmo conservare il nostro posto di lavoro, vero? 🙂 )

Gli obiettivi, inoltre, ci aiutano a non perdere di vista il punto di arrivo, evitando di disperderci nel cammino e di cambiare la nostra rotta in continuazione (causa principale di molti progetti iniziati e mai finiti). E, in ultima istanza, gli obiettivi ci permettono di valutare la correttezza della strategia disegnata, soprattutto se a medio / lungo termine, definendo dei punti di controllo intermedi.

Gli obiettivi possono essere quantitativi (voglio incrementare le mie vendite online un 5%) o qualitativi (voglio migliorare l’immagine della mia marca). Ovviamente, nel caso di obiettivi qualitativi, sarà molto utile determinare una serie di indicatori equivalenti che mi permettono di valutare i risultati del punto de vista objetivo. Nel caso del nostro esempio, migliorare l’immagine della marca (o l’esperienza dell’utente con il nostro prodotto) potrebbe essere “misurato” con un numero determinano di fans a Facebook, o in alternativa con una diminuzione delle chiamate al servizio post-vendita del 5% in 6 mesi.

Cerchiamo comunque di rimanere con i piedi per terra e di non porci degli obiettivi inverosimili. Soprattutto se siamo alla prima esperienza con i Social Media, ricordando la frase (con tranello) di un amico (grazie Mau): il 75% degli utenti raccomanda nelle reti sociali la loro marca preferita!

Grazie al social media abbiamo la possibilità che le persone raccomandino la nostra marca …. pero evidentemente il nostro lavoro è essere capaci di convertirci nella loro marca preferita… fuori dal Social Media.

2) Definiamo il nostro target.

Anche nei social media dobbiamo analizzare il nostro mercato e definire in nostro target. È assolutamente necessario disegnare una serie di azioni personalizzate in base agli obiettivi che ci siamo prefissati di raggiungere ed al pubblico al quale ci stiamo dirigendo.

Da qui saremo in grado di definire quali reti sociali sono per noi interessanti e studiare il tipo di azione che dovremmo innescare nelle reti sociali che finalmente sono state scelte.

Il target può essere geografico, demografico, oppure rispondere ad altri criteri e affinità, come per esempio la passione per la fotografia.

È importante analizzare a fondo non solo la tipologia di cliente (demografia, geografia), ma anche cercare di creare un profilo sociale (interessi, abitudini, amicizie) e finalmente un profilo socio-tecnografico (maniera di interagire con i social media).

Nel caso citato in precedenza (appassionati di fotografia) potremmo trovarci ad esempio di fronte a profilo di persone di età compresa tra i 20 e 50 anni, di entrambi i sessi pero prevalentemente maschile, formazione media e superiore, amante dei viaggi e dell’elettronica di consumo, capace di destinare un 10% dei suoi guadagni alla passione per la fotografia, con una certa predisposizione per la natura, che fa sport almeno una volta alla settimana.

Dal punto di vista socio-tecnografico, si tratta di persone che partecipano attivamente nelle reti sociali, condividono fotografie e tecniche per la realizzazione delle migliori foto, partecipano nei blog specializzati e solitamente hanno preferenza per una o più marche di prodotti fotografici.

3) Costruiamo la nostra identità digitale

Per costruire l’immagine della nostra marca sarà necessario preparare previamente la sua identità digitale. In questo caso terremo presente gli attributi della nostra marca, il target al quale ci dirigiamo, quali sono i nostri obiettivi e, finalmente, il posizionamento del nostro marchio nei canali offline per garantire la necessaria coerenza tra il mondo off ed online.

Un buon punto di partenza può essere un esercizio di posizionamento del nostro marchio.

Se non abbiamo fatto quest’esercizio per definire il nostro marchio nel mondo offline, probabilmente sia arrivato il momento di definirne gli attributi per consolidare la nostra posizione nella mente dei nostri clienti, che ricordiamo, deve essere:

  • Unica: per occupare una posizione nella mente delle persone, la nostra proposta deve essere solo una, deve avere un attributo
  • Rilevante: non vale un posizionamento qualsiasi, deve essere uno di cui importi veramente ai nostri clienti
  • Chiara: non possiamo confondere il consumatore. Più definito è, più facile sarà che possa occupare uno spazio preferenziale nella sua mente. In questo senso, parliamo di trovare il focus.
  • Distintiva: il posizionamento è quello che ci aiuta ad essere diversi dai nostri concorrenti, per questo deve essere diverso dal loro.

A questo punto avremo tutti gli elementi per poter definire gli attributi della nostra identità digitale:

  • Personalità (moderna, conservatrice, azzardata, ecc)
  • Linguaggio (formale, informale, disinibito, ecc)
  • Immagine (logo aziendale, personaggio inventato, impiegato, dirigente)
  • Contesto (esperto nei prodotti, supporto al cliente, ecc.)

per arrivare alla creazione della nostra immagine nel mondo delle reti sociali.

Nell’esempio fatto in precedenza, la nostra immagine potrebbe rispondere a un personaggio inventato (rappresentato da un avatar), amante dei viaggi e della fotografia, con una personalità moderna, un linguaggio informale ma corretto ed esperto del’arte della fotografia, con la vocazione di pubblicare informazione utile riguardante consigli e trucchi per migliorare la nostra tecnica. In questo caso la persona non parlerebbe in nome del nostro marchio, ma in qualche modo verrebbe a rappresentarlo nel mondo online.

In questo caso potremmo utilizzare i vantaggi della comunicazione persona a persona, anche se avremmo lo svantaggio di non rappresentare direttamente il nostro marchio.

Arrivati a questo punto ci resta solo la definizione delle azioni a livello di reti sociali ed il timing di esecuzione. Ma questi saranno gli argomenti del quarto (ed ultimo) post di questa miniserie dedicata ai social media.

(to be continued….)

Written by Marco Cimino

octubre 13, 2010 at 1:48 am

Last in, best in

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[tweetmeme source=”mcimino” only_single=false] Comentábamos hoy con una amiga la tendencia, en uso sobretodo entre pequeños empresarios que definiríamos «tradicionales», de dirigir toda la atención hacia el último consejo de un amigo durante un partido de golf o la última reivindicación de un cliente «difícil».

Lo que definiríamos «Last in, Best in«. (si, en efecto me lo acabo de inventar, no lo busquéis en la wikipedia  … 🙂 ).

El típico caso en que «el jefe» se va a comer con los amigos que le comentan: «Tito, sabes que me estoy forrando con la importación de alpargatas de Perú«.. y eso se convierte en la obsesión del «jefe»  durante los sucesivos 20 días, hasta darse cuenta que Perú no es famoso por sus alpargatas (que podría serlo, lo desconozco) o bien hasta la siguiente comida en la cual se comenta la tendencia en externalizar los servicios administrativos en las empresas pequeñas.

Para ser más realistas, otro caso sería el de un cliente que inesperadamente nos comenta que el pasado sábado necesitaba poder tramitar un pedido (supuestamente.. ya que normalmente estos clientes hablan mucho más de lo que acostumbran a tramitar 🙂 ) y que se encontró con la oficina cerrada!! Dios mío, un sábado nuestra oficina cerrada!!

La reacción natural del Jefe que manifiesta síndrome «Last in, Best in» es concentrar todos sus esfuerzos en encontrar la manera de no cerrar las oficinas en sábado, por si algún otro cliente tuviera la necesidad imperiosa de tramitar otro pedido. Al menos hasta que otro cliente iluminado nos sugiera alguna otra necesidad intempestiva.

Bromas a parte, si queremos posicionar un producto, crear nuestra marca o simplemente plantear el crecimiento de nuestra empresa (sobretodo si hablamos de una Pyme o MicroPyme), debemos tener en cuenta los 2 ingredientes principales: sentido común y estrategia. (en partes iguales).

Teniendo en cuenta que seguramente dispondremos de recursos finitos (léase tiempo y/o dinero), definir una estrategia nos ayudará a concentrar nuestros esfuerzos allí donde tenemos más probabilidades de éxito, evitando un desperdicio inútil de recursos y manteniendo coherencia en nuestras actuaciones como «marca» en el mercado.

La estrategia pasará obligatoriamente por conocer nuestro producto, nuestro mercado, saber que hace nuestra competencia y definir según distintos criterios nuestro «segmento» de clientes o «target«, con el objetivo (como bien dice mi compañero Jaime) de convertirnos en su mejor opción.

Una vez definido el target, estudiaremos sus necesidades reales (descubriendo si lo de tramitar un pedido en sábado era un farol o no), los mecanismos para aportar valor y finalmente definiremos los canales (on line, off line) y los atributos que deberá tener nuestra marca para llegar hasta él.

Solo falta un último ingrediente: el tiempo. Si un estofado de lentejas requiere 1 hora, no podemos obtener el mismo sabor en 5 minutos.

De la misma forma, la ejecución de nuestro plan requiere un tiempo. No hagamos el error de querer recoger los resultados finales (posiblemente las ventas) desde el primer día, sino marquémonos unos objetivos intermedios (también cualitativos) que se puedan mesurar para validar que estamos realizando las acciones correctas y obteniendo los resultados esperados.

Si tuviera un único proyectil que disparar, que harías? Apuntarías bien y luego dispararías o directamente dispararías en el aire con la esperanza de darle a unos de los patos que pasan por allí? El que dispara en el aire, en el fondo, no sabe a donde disparar.

Written by Marco Cimino

septiembre 14, 2010 at 11:51 pm

mira con tus propios ojos

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Me inspira un post de Mauricio Santambrosio, el espejo del diablo, que con su habitual sentido común analiza aquellas empresas que se rigen por una imagen  construida y proyectada pos un espejo que por su verdadera imagen, la que nos atribuye el mercado.

Lamentablemente nunca somos lo que somos, sino lo que el mercado cree que somos. Y nuestros esfuerzos deberían dirigirse en demostrar al mercado lo que queremos ser para que nuestra imagen se consolide de forma coherente con nuestros propósitos.

En su post, Mau, habla contundentemente de los directores de marketing que declaran que su empresa ofrece un «inmejorable proporción ente calidad y precio», y aún peor de los que añaden «y además es cierto», como si ellos mismos no creyeran en su propia mentira. No se trata de decir, sino de actuar. Se trata de diseñar una estrategia que posicione nuestros productos que sea coherente con lo que creemos que somos y sustentarla con acciones dirigidas a «probar» que lo que queremos ser es totalmente cierto.

Solo de esta forma conseguiremos transmitir nuestra verdadera esencia, más allá de la imagen que nosotros mismos hemos creado y proyectado en «los espejos del diablo».

Pero las empresas pequeñas tenemos un doble problema; romper los espejos del diablo para proyectar nuestra imagen verdadera y romper nuestro corazón para marcar un mínimo de distancia con la criatura que nosotros mismos hemos creado.

Los CEOs, emprendedores, fundadores de proyectos empresariales normalmente nos movemos por una componente económica (evidentemente) y por una componente emocional. El proyecto que estamos creando es parte de un sueño, un maravilloso sueño sobre el cual nos volcamos en alma y cuerpo porque aquello representa un trozo de nuestra propria vida.

Pero existe una posibilidad, remota pero mucho mas grande de lo que solemos imaginar: que nuestra visión no sea la correcta! O, sin destrozar nuestro EGO, que nuestra visión no sea lo suficientemente empresarial para sustentar nuestro proyecto a largo plazo. O simplemente que no hayamos tenido aquella pequeña cantidad de suerte que en todo proyecto se necesita para superar los baches.

En ese caso, no tan remoto, nuestro corazón, nuestra pasión por lo que hemos construido, a veces representa nuestra propria ruina. La incapacidad de reconocer nuestra falta de visión y confiar en otras personas (colaboradores, empleados, asesores, consultores, especialistas, etc..) para que nos ayuden a diseñar una estrategia que ayude a completar nuestra visión y a garantizar el sustento de nuestra compañía en el tiempo.

Estamos acostumbrados a regirnos por nuestro instinto, por nuestro conocimiento y creemos que la experiencia y el conocimiento del producto y del mercado lo es todo, y a veces cuando las magnitudes se hacen grandes, no es exactamente así.

Creerme el darse cuenta de que solos no podemos llegar no es tan fácil y representa muchas veces un ejercicio de humildad importante.

Dejar de ver con los ojos de nuestro corazón y ver las cosas con nuestros proprios ojos..

Desde las temperaturas tórridas, las arenas y las aguas del infierno en el que me encuentro… un feliz verano a todos 🙂

Written by Marco Cimino

agosto 12, 2010 at 3:16 pm

uno, dos, tres.. innovando, innovando

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Una de las grandes obsesiones de los últimos años ha sido (y sigue siendo) la innovación. Las empresas, los directivos, Products Managers, responsables de Desarrollo de Negocio, Marketing han estado preguntándose uno y otro día cómo mejorar la posición en el mercado, ofreciendo productos y servicios realmente innovadores.

Todos hemos pasado por esto y la mayoría de nosotros hemos creído que la mejor manera de innovar fuera el crear algo innovador, buscando y rebuscando un producto o servicio que nos facilitara nuevos clientes y nuevas ventas.

Es así cómo la búsqueda de la innovación ha facilitado la super-producción que estamos viviendo en la última década en la cual nos encontramos con compañías telefónicas que venden contenidos o seguros de vida, grandes consultoras de estrategia que crean servicios de outsourcing de bajo coste, fabricantes de hardware que distribuyen productos de software y un sinfín de combinaciones que han ayudado al consumidor a desarrollar la capacidad de distinguir la oferta de valor del resto de oferta que encontramos en el mercado. Todo el mundo vende de todo y aunque es evidente que hay un exceso de oferta seguimos pensando que cuanto más amplio sea nuestro porfolio de productos y servicios más oportunidades tendremos de llevarnos algo. O al menos hay personas que la piensan así!

La frenada en seco de la economía ha acentuado esta tendencia, por efecto de la búsqueda desesperada de nuevos negocio por parte de las empresas que temen por su futuro. Aquello de «diferenciarse o morir» que algunos han interpretado al pié de la letra, diferenciando su porfolio de productos e invadiendo un terreno desconocido.

Un terreno doblemente difícil, por ser muchas veces desconocido por el explorador y, normalmente, por estar poblado de empresas que llevan tiempo jugando la partida.

Pero si queremos innovar de verdad quizás deberíamos hacer el esfuerzo contrario: fortalecer aún más lo que sabemos hacer, focalizando y especializando nuestro negocio, cambiando el punto de vista, poniéndonos en la piel de nuestros clientes e imaginando de qué forma conseguiríamos sorprenderles, cual sería la manera de ofrecerles algo muy valioso para ellos, capturando su atención en un mercado tan diferenciado y agresivo como el actual.

Si quieres sorprender a alguien, lo primero que hay que hacer es conocerle. Saber quien es tu publico objetivo, estudiarlo, escucharle, hablar con ellos, saber lo que le preocupa y buscar formulas para convertirte en un valor para tus cliente es el primer paso para sorprenderle. Ponte en su piel y razona con su cabeza. Dar antes de recibir; es una formula mágica que te ayudará a encontrar el camino de la innovación. Esto es segmentar.

Aprovecha lo que tus clientes explican para mejorar tu producto o servicio, adaptarlo mejor a sus necesidades, creando nuevos formatos y nuevas modalidades para adaptarte a los cambios y a la continua evolución del mercado y de los clientes. Y hazlo rápido! Anticípate a lo que vendrá aprovechando tu experiencia y la experiencia de tus clientes.

Integra tu departamento de marketing al ciclo de venta de tu empresa, alineando toda tu organización a los objetivos de negocio que hayas marcado; para que los esfuerzos de todos y cada uno se dirijan en la misma dirección y, sobretodo, en beneficio del cliente.

Personaliza, en la medida de lo posible, el servicio o el producto para aumentar la percepción de valor y adaptarlo al máximo a lo que el cliente necesita realmente.

Comunica con tus clientes a través de las redes, aprovechando el potencial que nos ofrecen los nuevos medios sociales.

coherente en todo momento con tu mensaje, tu propuesta de valor y tus objetivos de negocio. Los clientes agradecen transparencia y previsibilidad. Sorprender no es «dejar de piedra»! 🙂

Da la cara cuando las cosas no salen como te gustaría. El que no se equivoca nunca es el que no decide o no trabaja. Una empresa se compone de personas y las personas tenemos el privilegio de aprender de nuestros propios errores.

Cuida los detalles. La innovación no se limita a unas pocas grandes ideas que convierten en millonarios a desconocidos. La innovación está en las pequeñas cosas, en el día a día, en todos y cada uno de los gestos y de las palabras que diriges a tu interlocutor. Enamorale, hazle sentir lo que realmente es: tu razón de ser!

(ver también Píldoras de Conocimiento de Sowre)

La experiencia de usuario marca la diferencia (II)

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Retomando el hilo de los comentarios a mi anterior post, quiero intentar resumir y ampliar algunos conceptos relacionados con la experiencia de usuario y las implicaciones a nivel de marca.

Cuando afirmo que la experiencia de usuario marca la diferencia, posiblemente estoy cometiendo un error. De hecho lo que pretendo transmitir es que (desde mi punto de vista, compartido por la mayoría de los comentarios al post) muchas marcas de éxito venden una experiencia de usuario, que se compone de un producto y/o un servicio y la experiencia que el usuario experimenta con la marca. No es un añadido, sino parte integrante del producto y/o servicio. De hecho el producto y/o servicio puede incluso ser la parte menos importante de la experiencia.

Este enfoque (para que funcione) debe ser mucho más que una estrategia de marketing; es necesario que toda la organización esté alineada con este principio. Tenemos que educar a nuestros empleados para que interioricen esta filosofía de empresa y la apliquen, sin fisuras, en su interacción con el cliente (usuario).

Este enfoque no es aplicable única y exclusivamente en el caso de las marcas Premium (o productos de lujo) en las cuales los margenes permitan que a veces vayamos en contra del principio «soberano» de ganar dinero. No se trata de margen de maniobra; se trata de trabajar a corto o medio plazo. Si nuestro objetivo es el medio plazo, tenemos que asumir que en alguna ocasión tengamos que invertir en el corto plazo para fidelizar un cliente o para proteger nuestra marca. Si solo nos concentramos en el corto plazo, en el instante concreto, lo más seguro que nunca seamos capaces de ver los beneficios a medio plazo y de asumir esta inversión como necesaria para proteger y reforzar nuestra marca.

Por norma general, no debería ser difícil justificar este enfoque en un comité de dirección, ya que normalmente un comité de dirección se discuten acciones a medio plazo. Si un comité de dirección no es capaz de ver el beneficio para la empresa, posiblemente el problema no sea el enfoque, sino el propio comité.

Y, por último, la experiencia de cliente se basa necesariamente en la confianza y la transparencia. Una empresa que quiera dirigirse a sus clientes de forma transparente no puede pensar que sus clientes reaccionen de forma no transparente, intentando aprovecharse de la situación.

Con esto no quiero decir que no pase. Es probable que algún cliente se aproveche de la situación, pero esto es un riesgo que hay que correr. En el momento en que planteemos que la mayoría de nuestros clientes se van a aprovechar de la situación, algo estamos haciendo mal.

Seguimos con el debate? 🙂

Written by Marco Cimino

marzo 25, 2010 at 10:41 am

La experiencia de usuario marca la diferencia!

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Hace unos días discutíamos con mi equipo comercial (en esas reuniones que nos gusta animar más allá de cuotas, números y acciones) si la experiencia de cliente es realmente un factor diferencial en el mercado.

Como acostumbro a decir en las presentaciones, la experiencia de usuario marca la diferencia entre un producto bueno y un producto extraordinario. Es evidente que un producto «malo» no tiene remedio, pero mi opinión es que podemos convertir un producto bueno en algo excepcional si trabajamos la experiencia de usuario.

Os voy a explicar lo que me pasó el sábado, como ejemplo de una buena experiencia de usuario.

Hace un mes aproximadamente compré unas camisas en la tienda Ermenegildo Zegna de Paseo de Gracia, en Barcelona. Trabajé para Ermenegildo Zegna unos cuantos años y, aunque haya perdido mis privilegios de empleado, sigo comprando sus productos con cierta frecuencia.

La cuestión es que una de las camisas que compré no me salió nada bien. Es Era una camisa de rayas azul marino que lleva el interior del cuello, los puños y el perfil de la «tapeta» de los botones de un algodón azul marino liso. Una prenda con un toque de distinción que pero juega con la desventaja de un color muy delicado y propenso a desteñir con cierta facilidad.

Por otra parte, alguna costura de la parte anterior se empezaba a deshacer; en definitiva, una camisa que no respondía a la calidad que pagué en la tienda.

El pasado sábado, aprovechando un paseo con la familia en Barcelona, fui a la tienda para enseñar lo que le había pasado a la camisa. En los momentos anteriores a la entrada en la tienda, mi mujer me comentó: sobre todo, coméntale que la hemos lavado a 30 grados, y como mucho 4-5 veces… lo típico, empiezas a imaginar lo que te dirán en la tienda y las escusas o explicaciones que tendrás que alegar para explicar lo sucedido.

Mi sorpresa fue cuando al enseñarle la desafortunada camisa a la persona que me atendió en la tienda (y sin tener el tiempo de alegar lo que me había preparado justo antes de entrar), esta, sin comentar lo sucedido con nadie más (sin la necesidad de pedir permiso a nadie), se limitó a contestarme: No se preocupe, voy a buscarle una igual. Si lo prefiere puede elegir otra prenda, como usted desea. ¡Dese una vuelta por la tienda!

Lamentablemente la misma camisa no estaba disponible y al final me llevé otra prenda, que valía 40€ más que la anterior. Pero no me supo mal en absoluto; la pronta respuesta del encargado, su actitud, el no tener que explicar lo ocurrido, me hicieron olvidar de pronto que había acudido a la tienda para quejarme de un producto de calidad no adecuada al precio pagado, convirtiendo ese momento en una experiencia de marca inmejorable, consolidando aún más la imagen y el prestigio de la marca.

Una especie de efecto amplificador que, de forma inexplicable, se produce cuando una marca es capaz de sorprendernos rompiendo nuestros esquemas.

Yo iba a la tienda con la seguridad de encontrar cierta resistencia, aunque finalmente era bastante probable que me sustituyeran la camisa defectuosa.  El hecho de que haya sido todo tan fácil y natural, no sólo aniquila la sensación de haber vivido una experiencia negativa con la marca, sino amplifica el respeto que el cliente ya tenía anteriormente.

Bien lo sabe el encargado que me atendió, ofreciéndome la posibilidad de sustituir la prenda por otra, dándome una vuelta por la tienda. En ese momento me tuvo totalmente indefenso y predispuesto a agradecer su «noble» e «inesperada» reacción con la compra de otro producto.

Una ocasión irrepetible de fidelizar el cliente a la marca,transmitiendo de una forma contundente la vocación de la marca por el cliente.

De esta experiencia aprendo varias cosas:

  • Nadie pretende que una marca sea infalible, pero todo el mundo se espera que delante de un error mostremos nuestra buena actitud y voluntad para subsanarlo.
  • Un error es el momento ideal para reforzar la percepción de valor de una marca. En ese momento, más que nunca, nuestro consumidor está esperando que le sorprendamos.
  • La experiencia de usuario marca la diferencia entre un producto bueno y un producto extraordinario
  • Ya sé ahora porqué en mi armario el 95% de las camisas son Ermenegildo Zegna!

🙂

Written by Marco Cimino

marzo 23, 2010 at 12:02 pm

Marketing (digital) para Pymes, el secreto está en la marca

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En un mercado cada vez más global nos encontramos con cierta facilidad a enfrentarnos a escenarios totalmente nuevos. Como ya se ha comentado más de una vez, resulta bastante habitual competir en los mismos sectores con empresas de distinto tamaño, e incluso cada vez es más normal ver como la “pulga” se lleva “el gato al agua” marcando diferencias con los más poderosos.

Tamaño y recursos no son hoy en día factores que siempre llevan al éxito. Agilidad, velocidad de reacción, proximidad, personalización, especialización, cultura del cliente, capacidad de personalizar el producto o el servicio son actitudes que juegan un papel fundamental en el proceso de decisión de los clientes (además de los elementos emocionales, evidentemente), y a veces posicionan al mismo nivel una gran multinacional y una empresa familiar de tamaño mediano-pequeño, allí compitiendo por la misma oportunidad.

El marketing digital (online, 2.0, internet, redes sociales o social commerce o cualquiera de las variantes y combinaciones posibles) es una interesante oportunidad para las PYMEs, por sus costes asequibles, su enorme potencial y su capacidad de romper con las barreras geográficas, llegando directamente allí donde están nuestros clientes y potenciales clientes.

Aún así, uno de los grandes retos y a la vez una de las mayores dificultades que tienen las empresas pequeñas y/o familiares es definir una estrategia de comunicación y utilizar el marketing online como estrategia para potenciar la percepción y el posicionamiento de la marca.

Así como en las empresas “grandes” tienen más o menos asumido en el ADN corporativo que el marketing es un “mal necesario”, en una empresa “familiar” (aunque de tamaño medio) muchas veces la percepción del marketing online se confunde con el  poner al descubierto nuestra empresa (nuestros productos, nuestra reputación), entrando así en juego factores más emocionales como la “reputación” de la empresa y/o de la familia, el miedo a descubrir aspectos considerados íntimos, la confusión que a veces hay entre lo personal y lo profesional y el miedo a hacer el ridículo en los círculos más cercanos.

En el mejor de los casos el “necesito un restyling de la web”, “quiero publicar mi catálogo”, “quiero una tienda online” o “este azul no es el que me gusta” es el enfoque más habitual en quienes no acaban de entender que estos son única y exclusivamente las herramientas de algo absolutamente indispensable: “el Plan” (qué queremos comunicar, con qué objetivos, cómo lo vamos a hacer y cómo vamos a medir los resultados).

De la misma manera que resulta absolutamente imposible alcanzar un objetivo si previamente no se ha definido (parece obvio, no?), no es posible comunicar y llegar al mercado si antes no hemos definido un plan. La web, las redes sociales, y la imagen corporativa son herramientas para comunicar, no son el plan de marketing digital.

El plan de marketing necesita que hagamos el ejercicio de definir nuestra marca y los atributos que queremos comunicar al mercado, analizar nuestros clientes y potenciales clientes, sus relaciones y posibles relaciones con nuestros productos y/o servicios, y los canales que representan una oportunidad para llegar a nuestro mercado.

Hecho esto, podemos empezar a definir las herramientas (web, newsletter, redes sociales, venta online, blogs, comunidades, etc) y las modalidades que debemos utilizar en cada caso.

Cualquier acción que hagamos y cualquier herramienta que utilicemos en las respetivas modalidades deberá “cuadrarse” previamente con la marca, garantizando en todo momento que el resultado final no desentone con sus atributos.

Solo de esta forma estaremos comunicando de forma coherente con un mensaje robusto y creíble.

… el secreto está en la masa marca! 🙂

Written by Marco Cimino

febrero 12, 2010 at 9:40 am

Buscando la definición de «marca»

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Siguiendo con el meme lanzado por  Jaime Valverde y Borja Muñoz (de Marketing TakeAway), provocado por una pequeña piedra tirada por Daniel Ponte en Clicmetrics ,  recogida por Tristán Elósegui, Dani Seuba, Mau Santambrosio, Luis Pablos y unos cuantos más (y los que vendrán), os dejo mi definición de «marca»:

“Una marca es una promesa + la experiencia global de interacción con la empresa”.

Cuando publicitamos nuestros productos, escuchamos las necesidades de nuestros clientes, diseñamos y presentamos una solución, ofertamos un producto; estamos haciendo una promesa a nuestro futuro cliente.

La agilidad comercial, el plazo y las condiciones de entrega, las características del producto, el cumplimiento de los objetivos del proyecto, el servicio de atención postventa, la amabilidad de nuestro servicio de reclamación y cobros, nuestra atención a las exigencias de clientes, proveedores y colaboradores completan una experiencia global  que ratifica la promesa que hemos hecho a nuestro cliente, fidelizando y consolidando su preferencia por nuestra marca.

Más enlaces del meme:

Y ahora paso la pelota a @evasnijders , @mertxe y @yo_Antitwitter que con un poco de suerte a estas horas estarán durmiendo y se encontrarán con la «patata caliente» sin poder decir nada! 🙂

Written by Marco Cimino

diciembre 18, 2009 at 1:22 am

Publicado en 1 desde Barcelona, marketing

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Mis clientes vienen a mi, o mejor que vaya yo a ellos?

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web20_2Volvemos a romper esquemas? Sigue siendo válido el modelo de «presencia en internet» que hemos utilizado hasta ahora?

Recopilando información para preparar una presentación para un cliente, tropiezo con un artículo de Gaby Castellanos en su blog titulado «la web y el microsite han muerto, viva el social media» , en el cual Gaby nos explica utilizando unas simples gráficas de tendencias como los websites tradicionales están perdiendo posiciones con respeto a las principales redes sociales.

Por otra parte vuelvo a tropezar con otra «perla» Javier Varela que nos da «Algunas ideas en las que pensar antes de lanzarte al Social Media Marketing» , entre las cuales me quedo con el concepto de a través de la red se han gestado las nuevas formas de relación entre las empresas y los consumidores, y que las redes sociales pueden ser una alternativa eficaz a los medios tradicionales para llegar a tus clientes (evidentemente es fundamental establecer un objetivo y medir los resultados).

Con estas (y otras) reflexiones que encuentro en la red, voy a dar una vuelta a mi presentación enfocando el planteamiento de una manera distinta:

Si el objetivo es llegar al mercado entonces empecemos por el principio, donde está el mercado? Como puedo ser tan «ingenuo» pensando en que el mercado está ansioso de navegar por mi nueva y flamante web en la cual voy a explicar a mis clientes lo bueno que soy y lo mucho que me lo creo?

El mercado de mis clientes, consumidores y potenciales está en Facebook, en Twitter, en Youtube buscando información, diversión, interés por lo que se hace y dice en el mundo, en base a un patrón que ya no es «mis amistades de toda la vida, porque nacimos y crecimos juntos» sino en la «eterna búsqueda» de otros seres humanos con intereses y aptitudes similares a las mías.

Bajo este paradigma resulta bastante improbable que mis clientes y potenciales se pasen por mi web para quedarse boquiabiertos en mirar y leer lo bueno que soy y lo mucho que me lo creo. Mucho más probable que sigan sus vidas «a pesar de» mi presencia en internet.

Por eso quizás deberíamos plantearnos que nuestra presencia en la red (aunque acabando en una web más o menos tradicional) debería sin falta comenzar en los sitios donde de forma natural se encuentran mis clientes. Y en esos sitios, como uno más, deberíamos limitarnos a participar sin más interés que el aportar valor, compartir experiencias y «educar» a nuestros clientes y potenciales en cuanto a la relación con nuestra marca y nuestros productos. Humana y transparentemente, de individuo a individuo al mismo nivel. Teniendo en cuenta que somos nosotros los que nos estamos «infiltrando» es su mundo y que por lo tanto vamos a ser recibidos con recelo y prudencia. Necesitamos convertirnos en «uno de ellos» de forma natural, sin trampas, teniendo en cuenta que (como el pescado) la diferencia entre una magnifica experiencia y una intoxicación es de algunas horas…..

Nuestra interacción con ellos comienza en su terreno, el tiempo, la dedicación, la transparencia, la innovación, la creatividad y el saber entender sus necesidades hará que con unos cuantos acabemos en el nuestro (terreno).

Written by Marco Cimino

noviembre 11, 2009 at 12:54 pm

eCommerce, Vender o gestionar experiencias?

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angry2Hace unos días Marc Cortés publicaba un post en su blog explicando una mala experiencia vivida en un proceso de compra por internet, reflexionando sobre el verdadero objetivo de las empresas que utilizan internet como canal de ventas. ¿Tenemos que limitarnos a vender y ganar dinero o, como bien indica Marc hay que hacerlo a través de la gestión de las experiencias del cliente con la marca y la satisfacción de sus expectativas?

El post ha generado muchas opiniones distintas, que podemos resumir en los que estamos de acuerdo con Marc (yo me incluyo en este grupo) en que es absolutamente necesario tener en cuenta en todo momento el cliente y gestionar su experiencia por encima de todo, y los que sin estar en contra de esta posición son más comprensivos con las empresas (sobre todo las PYMEs) alegando que a veces la falta de recursos y/o experiencia provoca que el resultado no sea el esperado.

En mi opinión personal cualquier proyecto (incluyendo la venta on line) requiere que previamente la empresa tenga claros los objetivos a conseguir y sea capaz de diseñar un plan para asumirlos, teniendo en cuenta todas las consecuencias y la inversión necesaria. Muchas veces la falta de objetivos claros es el principal culpable de que los proyectos no tengan tanto éxito como esperamos.

Para continuar con esta discusión me permito tomar el testigo, explicando una mala experiencia (vivida en primera persona el pasado fin de semana) en la cual no hay escusa posible ya que se trata de una entidad bancaria que dispone de los recursos necesarios y la experiencia (directa o indirecta) para garantizar que la experiencia del cliente sea absolutamente satisfactoria. Lamentablemente no fue así!

El pasado viernes por la tarde nuestro director financiero (que todavía estaba de vacaciones) me pidió que realizara una transferencia urgente desde nuesta cuenta del Banco Popular a otra cuenta de la empresa. Me conecté a la plataforma electrónica del banco para realizar una transferencia OMF (a través del Banco de España) que garantiza (a cambio de un coste adicional) que se reciba el importe en la cuenta de destino el mismo día que que se realiza la transferencia.

Una vez realizada la operación sin ningún mensaje de error (en la web aparece como «en tramitación»), el sistema de banca electrónica envió un email a nuestro director indicando que se había realizado la transferencia. Hasta aquí todo correcto.

A la mañana siguiente (sábado), recibo una nota de mi financiero que me indica que el dinero no ha llegado a destinación. Me conecto a la web del Banco Popular y verifico que la operación sigue en estado «en tramitación» y que el saldo de la cuenta ha quedado invariado. Resultado, el banco nos ha indicado por email que se había tramitado la operación, sin embargo seguía pendiente.

Llamé al número de teléfono de atención al cliente que aparece en la web (sin más explicación) y una grabación me indica que el horario de atención es de lunes a viernes de 08:00 a 22:00 horas. Podéis imaginar el cabreo! Puedo llegar a entender que no me atiendan en sábado, pero lo que no entiendo es que me obliguen a realizar una llamada para decírmelo, podían haberlo indicado en la web!

Sigo navegando por la aplicación y me doy cuenta que al salir, aparece un número de teléfono distinto al anterior. Llamo al nuevo número de atención al cliente y consigo hablar con una persona (que responde al nombre de Claudio) que muy amablemente me indica que las transferencias OMF se ejecutan como muy tarde hasta las 13:30 horas y que el lunes tendré que ponerme en contacto con mi oficina bancaria ya que una transferencia urgente que no se puede realizar en el mismo día de la solicitud queda automáticamente anulada!

En ese momento pregunté porqué la aplicación de banca no bloquea esa opción a partir de las 13:30 y perqué aparece en estado «en trámite» y perqué recibimos un mail de confirmación. Ninguna respuesta! Claudio me repite que me ponga en contacto con la oficina.

Esta mañana hemos llamado la oficina y nos han confirmado que era necesario volver a realizar la transferencia. Pero la cosa más divertida ha sido que, volviéndome a conectar con el sistema he visto que esta mañana Banco Popular había realizado la transferencia del viernes!

Intento resumir la experiencia:

Falta de información, desconcierto: realizo una operación que el mismo banco me confirma por mail pero puedo constatar que no se ha realizado.

Cabreo, sensación de impotencia: me obligan a llamar para decirme que no me pueden atender (bastaba indicarlo en la web, de 08:00 a 22:00.. sencillo, no?).

Falta de transparencia: encuentro otro teléfono distinto que me indica que lo que estoy haciendo no va a ser atendido (pensaban decírmelo algún día?, podían indicarlo en la web que estaba fuera horario?).

Falta de confianza, descontrol: la propia oficina no sabe como funciona el banco; me dice que repita la operación, sin embargo ya está hecha.

Falta de atención: el empleado de la oficina ni tan solo ha verificado como estaba mi cuenta corriente!

En resumen: una experiencia absolutamente desastrosa que (más allá de la falta de presupuesto o experiencia) nos indica que el Banco Popular se ha limitado a llevar a la web la operativa de una oficina bancaria sin preocuparse por gestionar la experiencia y las expectativas de sus clientes. No creo sean necesario más comentarios.

Y hablando de expectativas, (os aconsejo también la lectura de mis amigos Borjaime) tengo la corazonada que Xavier Bermudez nos hablará muy pronto de ello! 🙂

Banco Popular, mucho camino por recorrer!

Written by Marco Cimino

agosto 29, 2009 at 8:49 pm

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